Filosofia

Il martello del fabbro forgiatore è stata la più grande conquista morale che l’uomo abbia mai realizzato. Con il martello la violenza che distrugge è trasformata in potenza creatrice. Dalla clava che uccide al martello che forgia si svolge l’itinerario che va dalla vita degli istinti alla più grande moralità. La clava e il martello formano le due facce parallele del male e del bene.

G. Bachelar

Un balocco, soltanto un balocco. Un inganno per occhi di bimbo, forma destinata a durare lo spazio di un sorriso. Ma c’è qualcosa, in questa società assurdamente seriosa nella sua totale inutilità, che possa valere più di un bambino felice?

La nuova vita di Stefano è iniziata così, con la soavità del gioco. Un modellino di camioncino in legno che finisce quasi per caso sotto gli occhi estasiati dei nipoti Tommaso, Rachele e Valentina Chantal. Poi vai a scoprire che a sorridere, e naturalmente a stupire, sono soprattutto i grandi, imbattendosi ogni volta nel Fanciullino che ciascun ultraventenne si porta inevitabilmente nel cuore.

Ecco, dunque, la fatica quotidiana di dover tirar fuori il bello da ogni aspetto della vita, lavorando duro sulle forme, sugli angoli, gli scorci e le prospettive. Il prodotto finito c’è negli occhi e nella mente del creatore, ma si nasconde imbrigliato nella massa della materia, artigliandosi all’indefinito quasi fosse un obbligo il non svelarsi al mondo dei profani. Stefano e la sua band a questo punto serrano le fila, si fanno tutt’uno, entrano nel viluppo, scrutano oltre dove soltanto loro sanno, progettano e al tempo stesso realizzano, plasmano, edificano, strutturano. Dal magma, infine, il nulla sprigiona l’oggetto, la trovata, la chicca, il particolare esaltante, l’angolo visuale diverso, il bello insomma.

Che ogni volta si scopre tale perché scaturito da quel misterioso connubio che unisce come un sapiente arco voltaico la mente e le mani dell’artigiano, i cardini d’ogni realizzazione. C’è, inevitabilmente, una storia d’artigianato dietro quella mente e quelle mani, dietro la mente e le mani di Stefano; c’è stata – racchiusa nel tufo – una bottega di lavorazioni per nobili e plebei, papi e presidenti; c’è la memoria di un uomo, l’insigne artigiano del ferro Marcello Conticelli, da cui il nipote ha appreso, in anni lontani, la chiave d’apertura degli alchemici arcani del mestiere.

L’artigiano osserva il presente oltre l’ingabbiata linea dell’orizzonte: poche certezze, in primis che ogni forma è plasmabile, e mille obiettivi, le proprie infinite realizzazioni. E’ così da secoli: la storia dell’uomo è andata avanti a colpi di martello, di pialla, di tagliere, il fare ha sempre dominato il presente con la logica assoluta del tangibile. Da una terra verde non solo di speranze, la magica Umbria, Stefano Conticelli, con il suo lavoro-piacere, irradia ogni giorno nel mondo un messaggio straordinariamente attuale, eppure rivoluzionario se accostato all’imperante stagione dell’immagine: le mani contano ancora e l’idea resta un bene personale e collettivo: dalle mani mosse dall’idea scaturisce il manufatto, cioè un qualcosa che esiste oltre i concetti, le supposizioni, i sospetti e le congetture. Stefano ‘fotografa’ il bello, certamente lo vede prima di noi comuni mortali. E lo stesso accadeva a Marcello, stesso sangue e stessa coscienza.

Anime elette, e generose, perché poi quel bello ce lo regalano con un sorriso. Il bello da sempre costa fatica, certo, ma a conti fatti in cuor loro vale più il piacere di incontrare con lo sguardo il godimento altrui. Perché gli oggetti di Stefano ci fanno sembrare più dolce la vita, regalandoci ancora un istante di infanzia in questo mondo di tempesta.

testo redatto da Roberto Conticelli, mio caro cugino